Chagall, Raffaello, Van Gogh…sono tanti i pittori “di grido” presenti nelle mostre milanesi di questo periodo, che attirano numerosissimi visitatori, pronti ad affrontare code interminabili per ammirare i loro dipinti dal vero. Forse meno noti, ma altrettanto interessanti, sono Antonio e Piero del Pollaiolo, contemporanei di Filippo Lippi, Domenico Veneziano e Andrea del Castagno, protagonisti dell’ambiente culturale della Firenze medicea, anch’essi in mostra con le loro opere nel capoluogo lombardo, all’interno della Casa Museo Poldi Pezzoli. Una mostra “gioiello”, con poche opere esposte, ma di grande valore e chiarissima nel suo intento: delineare con maggior precisione le caratteristiche stilistiche dei due fratelli attraverso il confronto tra le diverse opere, per arrivare ad attribuire in modo (quasi) definitivo la paternità delle quattro dame esposte nell’ultima sala, provenienti da New York, Berlino e Firenze (la quarta è da sempre nelle collezioni permanenti del museo) per la prima volta, dopo secoli, riunite insieme.
Per capire l’arte dei Pollaiolo occorre partire da un concetto importante: quello di “bottega”. Se dalla seconda metà del Quattrocento in poi le teorizzazioni umanistiche sull’arte (tra cui il De Pictura di Leon Battista Alberti) tendono a elevare lo status dell’artista, da mero artigiano “produttore di oggetti” a intellettuale in quanto “ideatore di forme”, questo processo sarà portato a compimento solo nel XVIII secolo, al termine di uno sviluppo lento e irregolare. La bottega, quindi, per tutto il XV secolo deve essere ancora considerata la cellula base dell’attività artistica cittadina: essa era un luogo fondamentale per la formazione degli artisti, che già in tenerissima età (dieci anni o poco più) iniziavano il loro apprendistato macinando pigmenti o costruendo cornici, in un contesto in cui non c’era differenza tra arti maggiori o minori, per cui un dipinto aveva la stessa importanza di un cassone nuziale o di un arredo liturgico. I due Pollaiolo erano a capo di due botteghe distinte, con numerosi collaboratori impegnati nella produzione di statue, dipinti, opere a rilievo e anche manufatti tessili.
Non dobbiamo quindi stupirci se all’interno della mostra del Poldi Pezzoli non sono esposti solamente quadri: proprio Antonio, il maggiore dei due fratelli, che secondo Vasari fu l’autore della maggior parte delle opere del corpus dei Pollaiolo, in realtà dipinse pochissimo, in quanto fu soprattutto un abile orafo, come dimostrato dalla preziosa croce in lamina d’argento del Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, e attento scultore, come testimoniato dal drammatico crocifisso in sughero e gesso della chiesa di San Lorenzo a Firenze oppure dall’accurato ritratto di Giovane in armatura da parata in terracotta. Caratteristica essenziale nell’arte di Antonio fu il marcato linearismo e il dinamismo delle figure, studiate a livello anatomico nei minimi dettagli, come esemplificato dalla celeberrima Battaglia dei dieci uomini nudi, incisione a bulino firmata dall’artista e datata 1460-1465 circa.
Compreso l’errore di fondo che per secoli ha impedito una lettura obiettiva delle opere dei due fratelli (per Vasari la pittura era l’arte maggiore per eccellenza, per questo attribuibile solo al più celebre e geniale Antonio), la mostra ha rivalutato e “restituito” a Piero, considerato dal biografo aretino un semplice aiuto di bottega, diverse opere pittoriche che ancora pochi anni fa venivano assegnate al fratello, quali l’Apollo e Dafne della National Gallery di Londra, il David dei Musei di Berlino e le quattro dame oggi straordinariamente accostate tra le sale del Poldi Pezzoli.
Proprio i quattro dipinti, contraddistinti dallo stile meticoloso e materico, attento ai dettagli e alle sfumature tipico dell’arte di Piero, sono il cuore della mostra milanese: stesso formato, stessa impostazione (le fanciulle sono ritratte di profilo, come d’uso nel Quattrocento, secondo il modello del vir illustris, che si ispirava alla medaglistica imperiale romana), ma quattro dipinti diversi in quanto diversa è la loro storia conservativa. Il raffronto dei tre ritratti con la dama milanese, la meglio conservata, infatti, rende evidente il trascorrere del tempo sulla tavola e, soprattutto, i diversi restauri e le ridipinture subite nel corso dei secoli (per cui i quattro cieli di sfondo sono di colori completamente diversi). Bellissima la resa delle acconciature, dei broccati, dei gioielli, che mostrano uno spaccato sul gusto e sulla moda della Firenze del Quattrocento.
Per saperne di più vi invito a visitare l’esposizione (fino al 16 febbraio 2015) e visionare questo video di Rai Arte in cui i curatori raccontano la mostra.