NOI FUTURISTI DICHIARIAMO CHE:
1. Le prospettive mutevoli del volo costituiscono una realta’ assolutamente nuova e che nulla ha di comune con la realta’ tradizionalmente costituita dalle prospettive terrestri;
2. Gli elementi di questa nuova realta’ non hanno nessun punto fermo e sono costruiti dalla stessa mobilita’ perenne;
3. Il pittore non puo’ osservare e dipingere che partecipando allo loro stessa velocita’;
4. Dipingere dall’alto questa nuova realta’ impone un disprezzo profondo per il dettaglio e una necessita’ di sintetizzare e trasfigurare tutto.
Tra i numerosi manifesti redatti dal gruppo dei futuristi, vi è anche quello dedicato all’Aeropittura, una sorta di “movimento nel movimento” che si sviluppa alla fine degli anni Venti e risente del clima surrealista che si andava diffondendo in quegli anni. L’idea di base è molto semplice: dopo aver celebrato, tra le altre cose, la velocità e il mito dell’automobile, i futuristi si dedicano ai paesaggi mutevoli, grandiosi e privi di prospettiva visti da un aereo in picchiata, come le suggestive e oniriche vedute dell’umbro Gerardo Dottori o del pittore-aviatore Fedele Azari.
Ma l’aeropittura non si ferma qui: lo spunto per parlare di questo argomento mi è arrivato leggendo l’articolo relativo al compositore Gustav Holst, che con la sua musica ci trascina verso universi sconosciuti dal sapore “fantascientifico”, affine, a mio avviso, ad alcuni “aeropittori” che non si sono limitati alla semplice riproposizione della realtà vista dall’alto, ma che sono “partiti” alla ricerca di nuovi mondi e nuovi spazi.
Il manifesto dell’aeropittura recita che “si giungera’ presto a una nuova spiritualità plastica extraterrestre”: l’occhio del pittore oltrepassa l’orizzonte terrestre per scoprire ciò che c’è al di là, il cosmo, e il viaggio non è più fisico, ma mentale. Enrico Prampolini, ad esempio, parla di “idealismo cosmico”, in quanto il suo intento è quello di “spiritualizzare la materia” per “sostituire, totalmente e integralmente, la realtà dipinta con la realtà della materia”. E infatti in Prampolini la pittura non è solo pigmento, ma anche oggetto: sulla tela vengono inseriti elementi materici, come carta vetrata, sabbia, corteccia d’albero, che simboleggiano il ciclo della vita e il suo continuo rigenerarsi.
Fillia (Luigi Colombo), pittore vicino a Prampolini, realizza veri e propri paesaggi cosmici, che hanno l’obiettivo di superare ciò che è terrestre, per esplorare nuovi spazi. Il dipinto in copertina, Mistero aereo del 1931, ne è un esempio: l’immagine è composta dal profilo di un aereo, la nuova divinità del mondo moderno, da sfere di materia densa che formano i pianeti (figure ricorrenti anche nelle opere di Prampolini), da satelliti, anelli di fumo ed elementi eterei dell’atmosfera. Non a caso, alcune opere di questo tipo realizzate da Fillia sono intitolate Aeropittura o Concetto spaziale, evocando e anticipando di un decennio i (ben più famosi) concetti spaziali di Lucio Fontana, altro grande “ricercatore” di nuovi mondi al di là della tela. Ma questa è un’altra storia.