Dante e l’Italia perduta

Dante e l’Italia perduta

[testimonial image=”” name=”Dante Alighieri” title=”La divina commedia, Purgatorio canto VI”]

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!   

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Non ho potuto fare a meno di riflettere, dopo aver letto l’articolo di Ariadne sull’educazione al patrimonio artistico, in merito alla perdita delle nostre origini culturali, tanto belle quanto poco frequentate.

Tutti coloro che hanno fatto le scuole medie primarie hanno certamente letto qualche passo della Divina commedia, ma, certamente, solo pochi l’hanno studiata approfonditamente. Dante è sicuramente considerabile il padre della nostra letteratura nazionale: chi meglio di lui si è tanto dedicato alla nostra bella Italia?

Vorrei porre alla vostra attenzione il VI Canto del Purgatorio, non solo per piangere calde lacrime sulla nostra situazione, ma come punto da cui partire per risollevare le nostre sorti. Avrei voluto riportarvelo tutto, ma essendo lungo, trascrivo solo le parti essenziali.

Dante e Virgilio vedono un’anima in disparte e si avvicinano a lei per chiedere informazioni:

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Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
che ne mostrasse la miglior salita;
e quella non rispuose al suo dimando,

ma di nostro paese e de la vita
ci ‘nchiese; e ‘l dolce duca incominciava
«Mantua…», e l’ombra, tutta in sé romita,

surse ver’ lui del loco ove pria stava,
dicendo: «O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava.

Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di province, ma bordello!

Quell’anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;

e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
di quei ch’un muro e una fossa serra.

 

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L’anima chiede a Virgilio da dove venga  e alla risposta “Mantua” (Mantova) l’ombra abbraccia Virgilio, dicendo di essere Sordello, anche lui mantovano. Dante sottolinea come Sordello, per il semplice motivo di appartenere alla stessa città di Virgilio, si rallegri è lo accolga calorosamente, mentre oggi gli abitanti dell’Italia non fanno altro che farsi guerre e odiarsi reciprocamente.

Continua chiedendosi  a cosa sia servito che Giustiniano emanasse delle leggi se nessuno , poi,  le fa rispettare. Accusa Alberto d’Asburgo ( re di Germania e Duca d’Austria) di avere abbandonato l’Italia una volta divenuta indomabile, invece di prendere posizione e di governarla.

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Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s’alcuna parte in te di pace gode.

Che val perché ti racconciasse il freno
Iustiniano, se la sella è vota?
Sanz’esso fora la vergogna meno.

Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,

guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.

O Alberto tedesco ch’abbandoni
costei ch’è fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,

giusto giudicio da le stelle caggia
sovra ‘l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che ‘l tuo successor temenza n’aggia!

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Addirittura interpella Dio con dei toni piuttosto accesi:

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E se licito m’è, o sommo Giove
che fosti in terra per noi crucifisso,
son li giusti occhi tuoi rivolti altrove?

 

O è preparazion che ne l’abisso
del tuo consiglio fai per alcun bene
in tutto de l’accorger nostro scisso?

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E termina accusando L’Italia di non essere coerente, di promulgare leggi che non durano nel tempo, di cambiare continuamente moneta e costumi e di esiliare le persone.

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Atene e Lacedemona, che fenno
l’antiche leggi e furon sì civili,
fecero al viver bene un picciol cenno

verso di te, che fai tanto sottili
provedimenti, ch’a mezzo novembre
non giugne quel che tu d’ottobre fili.

Quante volte, del tempo che rimembre,
legge, moneta, officio e costume
hai tu mutato e rinovate membre!

E se ben ti ricordi e vedi lume,
vedrai te somigliante a quella inferma
che non può trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma.

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Mi scuso, con anticipo, della lunghezza di questo post, , ma, a mio avviso era indispensabile riportare le parole esatte di Dante per capire che già nella sua epoca il nostro paese non veniva trattato con il giusto riguardo. La storia è davvero ciclica, ma cosa ci porta a maltrattare, in saecula saeculorum, questa perla del sud Europa? Cosa dovrebbe fare o avere in più il nostro paese per essere considerato per quello che è, cioè un capolavoro naturalistico e artistico, ed essere giustamente curato e valorizzato?

Come disse Manzoni: “Ai posteri l’ardua sentenza”. Forse, ma una volta tanto, dovremmo essere noi  a capire cosa non funziona e trovare il modo per migliorare le cose.

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Tutta la Divina commedia,
in un unico volume

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Un profilo dantesco
di Giuseppe Ledda

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Erich Auerbach.
Una pietra miliare degli studi danteschi

Author

Sara
Dottoranda in letterature comparate, laureata in Scienze dei beni culturali con specializzazione in storia del teatro e del cinema. Ex pianista, attualmente si occupa di portare avanti il proprio progetto di ricerca universitario, in concomitanza scrive, soprattutto narrativa e pièce teatrali. Nel tempo libero legge tantissimi libri, guarda film internazionali e serie televisive statunitensi.

1 comment

  • Tutto vero, ma nel nostro Paese c’è molta anzi troppa rassegnazione, ignoranza e forse anche tanto disinteresse e poco rispetto sia per le cose proprie (il che è tutto dire) che altrui.
    Mi spiace sembrare pessimista ma questo è un ginepraio di difficile soluzione se non quasi impossibile.

    Reply

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