[testimonial image=”” name=”Primo Levi” title=””]
Kafka comprende il mondo (il suo e anche meglio il nostro d’oggi) con una chiaroveggenza che stupisce, e che ferisce come una luce troppo intensa.[/testimonial]
La prima opera che di solito ci viene in mente pensando a Kafka è La metamorfosi. In realtà, ce ne sono molte altre, ma quest’oggi volevo soffermarmi su Il castello. Credo di essere stata attratta da questo racconto, per lo stesso motivo che mi ha irretito, ipnotizzandomi, nel misterioso Castello di Barbablù.
La trama, pur essendo il lavoro incompiuto è la seguente: K., il protagonista, un agrimensore, giunge in un villaggio sovrastato dalla figura minacciosa di un Castello; al suo interno governa una misteriosa burocrazia. Quando cerca rifugio in una locanda, sostiene d’esser stato convocato dal conte, il padrone del Castello, ma uno stuolo di burocrati e funzionari gli impedisce ogni volta di essere ricevuto.
K. scoprirà presto che la sua chiamata è stata solamente uno spiacevolissimo errore. Gli viene offerto comunque un lavoro provvisorio in qualità di custode della scuola,. Nel frattempo, K. cerca di entrare in confidenza con gli abitanti del villaggio i quali, però, lo trattarlo in modo ostile e sospettoso. Tutti gli abitanti del villaggio hanno un’ altissima considerazione dei funzionari provenienti dal Castello, anche se non sembrano sapere cosa questi facciano effettivamente. Nel corso della storia non si capirà mai quali lavori vengono svolti nel castello e le spiegazioni che gli abitanti cercano di dare si contraddicono spesso, probabilmente, per celare molteplici segreti. I funzionari non vanno quasi mai al villaggio e, quando lo fanno, evitano di avere contatti con gli abitanti.
Gli occupanti del Castello sono tutti uomini adulti esclusivamente impegnati in funzioni burocratiche; le due uniche eccezioni sono costituite dai vigili del fuoco e da Frau Brunswick. A questo punto il racconto si interrompe, e, secondo la testimonianza di Brod, l’autore aveva pensato ad un finale meno tragico di quello de Il processo dove il protagonista muore e viene inesorabilmente sconfitto dal sistema, senza capire il motivo della sua condanna e senza riuscire neanche a dimostrare la propria innocenza. Mentre il K. de Il castello: «Muore di esaurimento…e in quel momento giunge dal Castello la decisione che concede a K. di viverci e lavorarci.», scrive Brod.
Come accennavo all’inizio, quello che, anche in questo caso, mi ha sorpreso è la figura del Castello come personaggio autonomo, capace di macchinare e di trattenere indicibili segreti. Inquietante figura di sfondo, ma presente in ogni attimo della storia, il Castello ben si accompagna ad un altro personaggio non propriamente antropomorfo: la massa di persone facenti parte del villaggio. Anche questa figura è spaventosa e fagocitante, pur nel suo continuo tentativo di respingere il protagonista, senza permettergli di capire cosa stia accadendo. Ci si ritrova in un sistema di valori assurdo, dove la corruzione e la burocrazia prendono il comando della vita dell’uomo schiacciandolo e lasciandolo privo prima della speranza di salvezza e di riscatto e, poi, della vita stessa, ormai eccessivamente indebolita dall’oppressione, dall’angoscia e dall’isolamento che questo sistema corrotto ha generato.
Indubbiamente uno sguardo lucido che si rivolge a una società non molto lontana dalla nostra, che ha però in comune con quest’ultima un’ incapacità totale a migliorarsi nel corso del tempo, ma anzi, se possibile, tende addirittura a un peggioramento, generando con le sue nuove tecnologie un sistema ancora più isolante e respingente.
Concordo con quanto scritto.
Società di massa e burocrazia schiacciano e opprimono l’essere umano.
Oggi, ad aggravare questo Castello kafkiano, concorrono globalizzazione e società mediatica.
Benvenuto Francis! 🙂
Hai ragione, rispetto all’epoca in cui Kafka ha scritto questo capolavoro, la situazione è andata peggiorando. Mi chiedo se sarà mai possibile invertire questa tendenza….