Il romanzo come opera d’arte totale: possibilità o speculazione?

Il romanzo come opera d’arte totale: possibilità o speculazione?

[testimonial image=”” name=”Elias Canetti” title=”La provincia dell’uomo, 1973″]

Il romanzo, creatura di tempi più calmi, può portare qualcosa dell’antica calma nella nostra attuale precipitazione. Per molte persone potrebbe servire come un rallentatore; potrebbe incitare a perseverare; potrebbe rimpiazzare le vuote meditazioni dei loro culti.

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Tutti sanno cosa sia un romanzo, pochi, invece, conoscono la sua genesi e il suo sviluppo. Personalmente è la forma di narrazione che preferisco, anche se attribuisco al cinema il primato di Gesamtkunstwerk (opera d’arte totale), nel senso in cui la intendeva Wagner. Senza dubbio, la capacità del cinema di analizzare sotto molteplici forme una storia è eccezionale: non mancano la narrazione, il linguaggio, l’immagine e nemmeno la musica. È davvero un unicum irripetibile, un mondo fatto e finito. Forse è proprio questa sua finitezza che non mi convince fino in fondo, la mancanza di suoni e di immagini predefinite che ci regala un romanzo sono, per me, fonte di una ricchezza impagabile. È nei limiti che io vedo le potenzialità, è nella mancanza che trovo la pienezza, perché niente è come l’esercizio della propria immaginazione, che ci permette di creare un mondo nel mondo, un universo immaginativo dentro a quello predefinito dell’autore. Sin dall’infanzia mi sono persa e allo stesso tempo ritrovata nelle narrazioni che i romanzi ci offrono, ma solo in età più matura mi sono chiesta come sia nato il romanzo e quale sia stata l’esigenza sociale che ha portato alla sua creazione. Le storie sono sempre state raccontate: l’epica, la poesia, la storia stessa, ci hanno narrato eventi veri o fittizi, ma il romanzo cos’è? Cosa ci vuole comunicare con la sua prosa e la sua struttura?

(c) Victoria Art Gallery; Supplied by The Public Catalogue Foundation

Samuel Richardson (1689-1761),
in un quadro di William Hoare, 1752.

La nascita del romanzo si colloca nel Settecento anglosassone e le sue radici affondano nel genere epistolare. Ricordiamo la Pamela di Richardson in Inghilterra, Le relazioni pericolose di Choderlos in Francia, I dolori del giovane Werther di Goethe in Germania, Le ultime lettere di Jacopo Ortis, scritto da Ugo Foscolo in Italia. Nell’Ottocento, con l’avvento della Borghesia e l’imposizione di un nuovo ordine sociale, nasce il romanzo di formazione. Si inizia a dare, finalmente, una certa importanza all’infanzia e all’adolescenza, momenti cardine nella vita di ogni persona, fino ad allora sottovalutati.

Uno dei grandi cambiamenti apportati da questa nuova forma narrativa è rappresentato  da una lettura non più pubblica e ad alta voce, ma da una sempre più individuale e mentalizzata. Abbiamo una grande innovazione e un cambiamento che si svolgono all’interno di una rinnovata tradizione. Un’interessante riflessione è da compiere su due passaggi importanti della storia del romanzo che ci fanno capire, in modi differenti, come la tradizione resti sempre presente, pur adattandosi alle nuove esigenze. Il primo passaggio di rilievo è il periodo romantico, che vede un’evoluzione e un’espansione letteraria notevole. Il secondo, invece, si riferisce al Decadentismo e al Modernismo nei paesi anglosassoni e al Simbolismo in Francia, e si manifesta dalla fine dell’Ottocento fino al periodo delle Avanguardie. Spinazzola ci aiuta a capire meglio questa divisione. Parla di Neotradizionale che fa perno sul concetto di mediazione e si riferisce al periodo romantico, che sancisce la fine del canone classicista, cioè dell’utilizzo regolamentato dello stile in riferimento a generi specifici (lo stile sublime per la tragedia e l’epica, lo stile medio per la trattatistica e la commedia e quello basso per le pastorali e il comico-realista). Il Romanticismo rompe con queste strutture rigide e con i criteri aristocratici che le regolavano. È interessante sottolineare, che un primo momento di crisi per il Classicismo era già intervenuto con il Cristianesimo. I vangeli, infatti, infrangono i canoni classicisti, scegliendo uno stile umilissimo per un genere altissimo: la parola di Dio. Per quel che riguarda invece il secondo periodo a cui abbiamo accennato (Decadentismo, Modernismo, Simbolismo e Avanguardie), Spinazzola ci suggerisce il termine Antitradizionale. In entrambi i casi, comunque, la tradizione è centrale, sia quando viene rifiutata, perché diventa l’estremo da cui allontanarsi, sia quando si cerca con essa un punto di  incontro.

Con questo breve excursus abbiamo capito come nasce e si sviluppa la forma romanzesca, ma non abbiamo analizzato cosa ci vuole comunicare. La cosa interessante e innovativa, che non ci permette di dare una risposta definitiva, è presente nella forma stessa del romanzo che è massimamente aperta e in costante divenire. Questo ha permesso un’evoluzione incredibile e un proliferarsi di categorie e sottogeneri, che rispondono ad infinite esigenze. Chiuderei con una frase di Spinazzola, che ci ha accompagnato in questo piccolo viaggio: ” Il romanzo narra storie, non destini”. O forse no?

Author

Sara
Dottoranda in letterature comparate, laureata in Scienze dei beni culturali con specializzazione in storia del teatro e del cinema. Ex pianista, attualmente si occupa di portare avanti il proprio progetto di ricerca universitario, in concomitanza scrive, soprattutto narrativa e pièce teatrali. Nel tempo libero legge tantissimi libri, guarda film internazionali e serie televisive statunitensi.

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