Lo spazio narrativo: i luoghi di Eugenio Montale

Lo spazio narrativo: i luoghi di Eugenio Montale

[testimonial image=”” name=”Eugenio Montale” title=”Xenia I”]

Avevamo studiato per l’aldilà

un fischio, un segno di riconoscimento.

Mi provo a modularlo nella speranza

che tutti siamo già morti senza saperlo.

[/testimonial]

Il senso di possibilità-Lo spazio di un artista, mi ha spinto a riflettere sulla spazialità all’interno delle opere letterarie. Com’è noto, ci si muove sempre in due dimensioni: quella spaziale e quella temporale.

Lo spazio può essere molteplice, definito dallo sguardo di chi racconta e strutturarsi in modi completamente diversi, quello che non cambia mai, invece, è la sua presenza fissa e costante. Anche ipotizzando un non luogo o il nulla si arriva, inevitabilmente, a definire una spazialità viva, che cerca di varcare i canoni tradizionali.

Gli spazi della poesia sono differenti da quelli della prosa: spesso sono ridotti, più coincisi, legati ai versi in modo simbiotico. Mi piace pensare ai luoghi montaliani: territori liguri densi di immagini forti e oblii fatti di nulla e dolore, ma anche di amore sconfinato che travalica la dimensione a noi conosciuta, per prolungarsi, estendendosi in un abbraccio, in una stretta vigorosa che oltrepassa la vita.

In ordine, penso a I limoni che ci parla come segue :

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Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.

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Lo spazio dell’immaginario e dell’illusione si smarrisce riportandoci, rapidamente,  nella realtà di una città che ci infastidisce, con i suoi rumori assordanti, con il cielo imbottigliato tra i palazzi che scorgiamo con difficoltà, fino a trascinarci verso l’immagine finale: l’inverno, stagione buia e lenta, che spegne i colori. La nostra anima viene, a questo punto, mandata in un altro luogo che è triste , amaro e, cosa ancora più dura, è insito dentro di noi, nella nostra coscienza più profonda.

Segue, nei miei pensieri, Forse un mattino andando:

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Eugenio Montale

 

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
Alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
Tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

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Appare il nulla, l’oblio che atterrisce in uno spazio vetroso e arido e poi, d’improvviso, “come s’uno schermo”, che suggerisce già una finzione, ecco comparire il paesaggio conosciuto, fatto di cose quotidiane e comuni. Questo, però, non serve a tranquillizzare Montale: fingerà di non avere visto il nulla che ci pervade, cercando di trattenere il terrore provato in precedenza, anche se, dentro la sua “anima amara” non potrà fingere di non avere visto la verità.

Una delle poesie che amo di più, ci mostra un contrasto interessante. Parlo di Molti anni, e uno più duro sopra il lago:

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Molti anni, e uno più duro sopra il lago
straniero su cui ardono i tramonti.
Poi scendesti dai monti a riportarmi
San Giorgio e il Drago.

Imprimerli potessi sul palvese
che s’agita alla frusta del grecale
in cuore… E per te scendere in un gorgo
di fedeltà, immortale.

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Un’ immagine segreta, quella in apertura, che evoca oltre a un paesaggio lacustre, una prolungata assenza. San Giorgio e il Drago potrebbero evocare due cose differenti: la lotta tra bene e male, tra spiritualità e materia, nella più classica iconografia cristiana, oppure rievocare Genova, città del poeta, nel cui stemma sono presenti il santo e il drago. Di conseguenza, se fosse veritiera la seconda ipotesi, avremmo un altro luogo, uno spazio che diventa per Montale simbolo di familiarità opposto al “lago straniero” dell’inizio.

Infine il gorgo: un vortice misterioso che trascina negli spazi più profondi della coscienza e ci spinge tra le braccia dell’eternità.

Per concludere cito da Xenia I:

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Mi abituerò a sentirti o a decifrarti
nel ticchettìo della telescrivente,
nel volubile fumo dei miei sigari
di Brissago.

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Qui, gli oggetti diventano tramite attraverso il quale percepire la presenza della moglie, ormai un’anima che abita l’aldilà, luogo impalpabile per gli esseri umani, ma non per questo meno reale e presente.

Questo viaggio sintetico nei luoghi di Montale, non fa che mostrarci un breve scorcio delle possibilità dell’utilizzo dello spazio nella poesia. Sarebbe bello intraprendere un viaggio attraverso i luoghi della narrazione, per scoprire posti reali o immaginari, definiti o appena accennati che possono regalarci avventure in mondi che mai avremo pensato di conoscere.

 

Author

Sara
Dottoranda in letterature comparate, laureata in Scienze dei beni culturali con specializzazione in storia del teatro e del cinema. Ex pianista, attualmente si occupa di portare avanti il proprio progetto di ricerca universitario, in concomitanza scrive, soprattutto narrativa e pièce teatrali. Nel tempo libero legge tantissimi libri, guarda film internazionali e serie televisive statunitensi.

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