“I would prefer not to” – L’espressione interrotta

“I would prefer not to” – L’espressione interrotta

[testimonial image=”” name=”Maurice Blanchot” title=”Lo spazio letterario”]

Scrivere, vuol dire farsi l’eco di ciò che non può cessare di parlare, – e, proprio per questo, per divenirne l’eco, devo in un certo modo imporgli silenzio. […] Questo silenzio ha la sua origine nella sparizione alla quale è invitato colui che scrive.

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Ne Lo spazio letterario Maurice Blanchot descrive la scomparsa a cui è soggetto colui che scrive. L’autore che desidera che sia l’opera a parlare, dovrà smettere di esprimermi e restare in silenzio. “Sono sempre più convinto che la verità corrisponda al silenzio. […] Se proprio vogliamo ancora pronunciarci non ci resta, e ne ho parlato altre volte, che ascoltare”, scrive anche Giulio Paolini.

Famosa è la risposta di Bartleby nell’omonimo libro di Herman Melville: “I would prefer not to”, utilizzata spesso da Paolini quale autore che rinuncia a pronunciarsi. L’espressione “I would prefer not to” evade volutamente una risposta, si tiene tra il sì e il no, non si sbilancia. È ancora l’artista a ribadire:

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Chi si esprime è perduto. Credo di doverlo ripetere: non ho mai voluto esprimermi nell’opera. Ho sempre lasciato (ho sempre preteso) che fosse l’opera a esprimersi, a dichiararsi, a dire a chiare lettere chi è e da dove viene.

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La chiave di questa espressione interrotta è individuata, in linguistica, nel passaggio dal pronome Io al pronome Egli, definito da Roland Barthes nel testo Scrivere, verbo intransitivo?, come la “non-persona”. Egli è “segno di colui che è assente, segno dell’assenza”, continua Barthes. Della stessa opinione è Blanchot che definisce Egli come “me stesso diventato nessuno”, o ancora, come un io “senza volto”. La sparizione dell’autore non è dunque una sparizione completa, ma è piuttosto una sostituzione. All’autore si sostituisce lo scrittore. Un artefice ancora presente, ma che si impone di rimanere in silenzio.

tableau vivant

G. Paolini, Tableau vivant, 1985. Fotografia su tela emulsionata, indumenti, base bianca opaca.

L’autore Giulio Paolini decide di farsi da parte e di essere null’altro che un pittore. Abbandonata la scena, smessi i propri abiti, decide di scendere in platea insieme al suo pubblico. D’ora in poi osserverà l’opera da lontano, senza frapporsi ad essa.

“L’allontanarsi dell’Autore – scrive Barthes – trasforma radicalmente il testo moderno”. Laddove prima si sviluppava un rapporto di antecedenza tra un Autore e il suo tempo (per cui il primo anticipava sempre il secondo), ora “Lo “scrittore” moderno – il soggetto della scrittura – nasce invece contemporaneamente al proprio testo”. Quest’ultimo va considerato come “uno spazio a più dimensioni”, che articola al suo interno scritture diverse ma mai originali. Pensiamo a questo testo non come a qualcosa creato ex novo, ma come a “un tessuto di citazioni, provenienti dai più diversi settori della cultura”.

La molteplicità di queste scritture può ora riunirsi in un solo luogo: lo spazio del lettore. Perché “sopprimere l’autore a vantaggio della scrittura”  implica “restituire al lettore il ruolo che gli spetta”. Così, per Barthes, “l’unità di un testo non sta nella sua origine [l’autore] ma nella sua destinazione [il lettore]”. Sennonché, non si tratta di una destinazione personale, dal momento che il lettore è “un uomo senza storia, senza biografia, senza psicologia; è soltanto quel qualcuno che tiene unite in uno stesso campo tutte le tracce di cui uno scritto è costituito”. Sembra insomma un altro impersonale Egli, senza giudizio.

autoritratto

G. Paolini, Autoritratto, 1968. Fotografia su tela emulsionata (due elementi sovrapposti).

Questo lettore può essere paragonato allo spettatore davanti all’opera di Paolini; è infatti nel suo sguardo che si compone l’unità dell’opera. È il suo sguardo che collega tra loro citazioni e piani differenti. Ma lo spettatore di Paolini è davvero quel lettore senza biografia e psicologia di cui parla Barthes? No, a differenza dal primo, la sua individualità ha grande peso. Nella percezione del quadro, lo spettatore mette in gioco la sua memoria, la sua storia culturale, i suoi sentimenti; senza questi elementi, la visione dell’opera non potrebbe compiersi. L’immaginazione – intesa come spazio personale dello spettatore – ha, per l’artista, un ruolo fondamentale. È ancora una volta lo scarto tra realtà e immaginato a produrre la magia dell’opera.

(In copertina G. Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto, 1967. Fotografia su tela emulsionata.)

Author

Sara Prina
Laureata in Comunicazione Visiva all’Accademia, si specializza successivamente in Storia dell’Arte. Rimane in Australia per un anno. Disegna, scrive e inventa. Ama leggere libri e fumetti, ascoltare musica degli anni Settanta e andare al cinema.

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